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Gas serra e i rifiuti organici, con un bioreattore, aceto e lieviti ingegnerizzati si trasformano rifiuti organici e emissioni industriali in nuovo carburante.

I carburanti liquidi derivati dal petrolio sono ancora fondamentali per i trasporti e l’industria, ma sono responsabili di una bella fetta delle emissioni inquinanti: tant’è che per contenere il riscaldamento globale (l’aumento della temperatura media della Terra) l’appello degli scienziati dalla COP21 ai governanti è quello di andare verso una società senza combustibili fossili. I biocarburanti sono un’alternativa incerta e discutibile, sia perché portano via spazio e risorse all’agricoltura per l’alimentazione (e ciò avviene soprattutto nei Paesi poveri), sia perché il bilancio complessivo delle emissioni (dalla semina alla combustione) è meno favorevole di quanto si crede.

E se riuscissimo a trasformare i gas emessi dagli impianti industriali e la spazzatura in nuovo carburante a basso impatto ambientale? Non è un’idea nuova, ma ci sono interessanti novità.

RISULTATI INCORAGGIANTI. I ricercatori del MIT ci sono riusciti, per adesso, in test controllati, nei laboratori di un impianto pilota poco fuori Shanghai. Sfruttando l’azione di batteri Moorella thermoaceticaall’interno di bioreattori anaerobici (cioè serbatoi dove i microrganismi si sviluppano in assenza di ossigeno), gli scienziati hanno trasformato CO2 miscelata con monossido di carbonio (CO) oppure con idrogeno in acido acetico (aceto).

L’acido acetico è stato poi dato in pasto a lieviti ingegnerizzati per produrre un liquido oleoso sfruttabile come carburante. La ricerca è descritta su Proceedings of the National Academy of Sciences.


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TEST PIÙ IN GRANDE. Quello che è nato come un progetto di postdoc finanziato dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti ha ora ambizioni più grandi: è infatti in costruzione un impianto dimostrativo 20 volte più grande di quello di Shanghai.

 

Bisognerà capire se quanto ottenuto su piccola scala sia replicabile sui grandi numeri, oltre a valutare costi e impronta ambientale. «Una cosa è farlo in una scala da 1-2 litri in laboratorio, un’altra è passare ai 1000 e poi ai 20 mila litri in un impianto dimostrativo», ammette Gregory Stephanopoulos, ingegnere chimico e biotecnologo del MIT.

QUALI GAS? Quanto alle miscele gassose da utilizzare, le più indicate sembrano quelle prodotte da spazzatura, letame e residui agricoli, «perché presenti in quantità impressionanti» (e perché le loro emissioni sono particolarmente inquinanti).

A CHI CONVIENE? Resta da capire se, con l’attuale prezzo del petrolio (meno di 37 dollari al barile, contro i 110 di 5 anni fa) le aziende private siano ancora interessate a investire in ricerca su fonti sostenibili di carburante. Al momento, con i combustibili fossili così convenienti, gli scarsi investimenti che – fortunatamente – ancora rimangono, provengono per lo più da istituzioni pubbliche e poche illuminate università.

 

 

 

fonte focus.it