La corte federale di Lipsia emette sentenza per combattere l’inquinamento atmosferico cambiando il sistema delle omologazioni, mentre il sindaco Virginia Raggi non li vuole più nel centro storico di Roma

E’ questo infatti l’annuncio fatto da Virginia Raggi nel corso del summit C40 Women 4 Climate, con decorrenza 2024 i diesel non potranno più entrare nel centro storico, in causa però ci sarebbero, secondo i dati Aci che fotografano la situazione alla fine del 2016 – 1.082.576 auto e 189.997 veicoli commerciali. Dati che potrebbero però variare sensibilmente se le abitudini dei clienti cambiasse radicalmente nei confronti dei modelli a gasolio, proprio in vista del nuovo atteggiamento dell’amministrazione capitolina nei confronti anche dei veicoli Euro 6, oggi assolutamente non inquinanti.

Nel dettaglio

il parco circolante dei diesel a Roma è del 10,2% da modelli ante omologazione Euro (quindi molto inquinanti, andrebbero subito eliminati)  il 2,8% di Euro 1 e un 10,6% di Euro 2, tutti dannosi per l’ambiente. Il punto centrale del problema sollevato dal sindaco Raggi sta nelle auto omologate Euro 4 – la normativa entrata in vigore il primo gennaio del 2006 – che sono il nucleo più significativo nell’area della Capitale: ben 873.566 cioè il 32,6% del circolante diesel. Vetture non vecchissime, di scarso valore commerciale ma che per molte famiglie rappresentano la soluzione alla mobilità individuale. Alla data indicata dalla Raggi, il 2024, queste auto saranno state in gran parte rottamate (come tutte le precedenti categorie) ma per arrivare a questo obiettivo, ipotizzando che vengano sostituite con modelli a metano che sono più ‘praticabili’ di quelli elettrici e molto meno costosi, occorre che le Autorità varino adeguati incentivi.

Restano il 19,7% di modelli Euro 5 (dopo il gennaio 2011) e l’8,6% di moderne Euro 6 (arrivate dopo il settembre 2015) che non costituiscono certo un problema per l’ambiente. Molto diversa la situazione tra i veicoli commerciali – significativa fonte d’inquinamento a Roma – con un preoccupante 79,3% di veicoli circolanti ante Euro 5, quindi dannosissimi per l’aria della Capitale.

I costruttori sono avvisati. E con loro anche i sindacati perché si stima che questa crociata anti-diesel possa portare un vero e proprio massacro di tagli nelle fabbriche. Volkswagen, la marca che ha annunciato il piano più massiccio di riconversione all’elettrico (entro la fine del 2022 più di 34 miliardi di euro confluiranno nello sviluppo della mobilità elettrica, della guida autonoma, di nuovi servizi di mobilità e nella digitalizzazione) annunciando il taglio di 30 mila posti entro il 2025. Ora vediamo cosa faranno le altre marche.

Un segnale di inversione politica che prende in contropiede molti costruttori, come Mazda Mercedes, che avevano lasciato ancora ampi spazi di sviluppo al diesel pur puntando ovviamente anche sull’elettrico. Ma un segnale invece previsto da Toyota FCA che per prime hanno preso le distanze dalla tecnologia dei propulsori a gasolio.

In Germania

Il tema è infatti caldo perché i vari tipi di motori, (diesel, benzina, elettrici, a metano a Gpl o ad alimentazione ibrida) sono sottoposti ad omologazioni ben precise e quindi poi catalogati secondo determinate normative. L’ultima, l’Euro 6, sancisce il rispetto della legge in fatto di emissioni, ed è rispettata ovviamente sia dai diesel che dei benzina: i sindaci e i comuni che bloccano le vetture a gasolio quindi entrano nel merito tecnico dell’omologazione (e non potrebbero), da qui le polemiche di costituzionalità.

Ma la decisione presa a Lipsia apre scenari mai visti prima e potrebbe avere ripercussioni in tempi brevi in città come Stoccarda e Dusseldorf, le prime dove ci sono a questo punto le condizioni per imporre lo stop ai diesel. E invia allo stesso tempo un segnale molto forte non solo alla Germania e al suo governo ma all’industria automobilistica mondiale, già sotto pressione per lo scandalo delle emissioni truccate.

 

 

Redazione Fleetime